Niente Amore ai tempi del coronavirus
Un bel problema per i single, le coppie non conviventi e per le relazioni tra amanti. A causa dei nuovi divieti sono tante le coppie che si trovano a vivere un “amore a distanza” loro malgrado.
Ma insoliti casi si sono verificati anche tra coniugi: dopo mal di testa e ciclo, scoppiano i casi di prevenzione di coronavirus da parte delle casalinghe verso mariti non troppo sexy. Per non parlare della distanza obbligatoria di un metro, anch’essa applicata con una certa celerità nei confronti del compagno poco prestante: emarginato sul divano.
I mariti, altamente contrariati, hanno richiesto a gran voce delucidazioni dal governo se avere rapporti sessuali sia possibile e se rappresenti un rischio.
A rispondere è Massimo Andreoni, ordinario di Malattie infettive all’università Tor Vergata di Roma e direttore scientifico della SIMIT.
Di fatto il medico chiarisce che non ci sono prove che il Covid19 sia presente nelle secrezioni vaginali o nel liquido spermativo. Invece risiede nelle secrezioni delle vie aeree superiori.
Il Coronavirus è un virus respiratorio e sappiamo che il contagio avviene primariamente attraverso la saliva e in particolare le goccioline che vengono espulse attraverso il respiro delle persone infette, ancor più la tosse e gli starnuti.
Morale della questione: per non contrarre il virus è sufficiente praticare rapporti sessuali senza amore: niente baci, coccole e paroline dolci sussurrate all’orecchio del partner.
Dalla Comunità Gay
Non si batte più un chiodo su Grindr, comunità gay in profonda profonda tristezza. Gay single nervosissimi e intrattabili.
Epilogo
Ricordate italiani: è per il bene della nazione. State a casa e fatevi 2 balle così.
Ogni giorno ha la sua pena, e ogni anno ha la sua influenza stagionale.
Premetto che il coronavirus non è un comune virus influenzale ma nessuno mette in conto che anche l’influenza è un virus che fa 5000 morti l’anno di cui è sempre disponibile la vaccinazione, che esistono da svariati anni vaccini contro la meningite, malattia batterica abbastanza diffusa che è capace di uccidere in una notte, per non parlare di streptococco e pneumococco batteri letali più del coronavirus e di cui esistono vaccinazioni avanzate, ma in quanti si vaccinano per cercare quell’immunità di gregge che mette tutti al sicuro?
Pochi, molto pochi.
Perché le persone credono ai miti e non alle informazioni scientifiche?
Oggi lo si sa bene, ma, paradossalmente, è diventato molto più difficile fare qualcosa per correggere fenomeni che causano costi economici, sociali e di vite. Le forme sempre più rapide e acritiche di comunicazione (social media) premiano, infatti, la pseudoscienza e l’irrazionalità. Chiunque di fronte al problema se fare qualcosa e cosa, parte, per decidere, dalle proprie percezioni soggettive. In questo caso se e quanto si sente suscettibile alla malattia, quanto ritiene sia grave, quali benefici o rischi possono venire dal vaccinarsi, quanto è facile trovare o fare il vaccino, cosa si pensa nell’ambiente nel quale vive o cosa consigliano le persone di cui si fida, dagli stimoli a cambiare il comportamento e da quanto si sente in grado di agire nel modo appropriato.
Gli psicologi cognitivi hanno dimostrato che questo processo decisionale porta facilissimamente a fare la scelta sbagliata, perché decidiamo usando processi inconsci che ci portano a cercare le informazioni che confermano i nostri pregiudizi (bias di conferma), tendiamo a fare o dire quello che dicono o fanno quelli che frequentiamo (selezionando sui social chi conferma i nostri pregiudizi) e facciamo riferimento a esempi che si sono rimasti impressi più che alle informazioni controllate (euristica della disponibilità). Inoltre, siamo incapaci di ragionare sui rischi: tendiamo a essere ottimisti o a raccontarci che siamo forti e che non ci ammaleremo: così sottostimiamo un evento molto probabile (contrarre una malattia e stare molto male o morire) e ne sovrastimiamo uno molto improbabile (l’inefficacia o gli effetti collaterali del vaccino).